SERGIO BRESCIANI

SERGIO BRESCIANI, L’AVANGUARDISTA DEL DESERTO
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Cippo onorario presente sulla pista che unisce il sacrario italiano di El Alamein alla base italiana di Quota 33.
Foto di A. Betrò, 2010.

Sergio Bresciani, volontario artigliere classe 1924 è la più giovane Medaglia d’Oro al Valor Militare italiana concessa alla memoria durante la seconda guerra mondiale. Prima di  trovare l’eroica morte sul suono egiziano il 4 settembre, il biondino di Salò scappa da casa per ben tre volte deciso a fare la guerra a suo dire “come un vero grande”.

di Alessandro BETRO’

pista-sergio-bresciani-fotoSergio Bresciani in una foto ricolorata al computer.
Notare il nastrino che rappresenta la Croce di Guerra
tedesca di 2ª Classe.

Sergio Bresciani nasce a Salò (BS) il 2 luglio del 1924, secondogenito di quattro figli. Allo
scoppio della seconda guerra mondiale era avanguardista moschettiere inquadrato nella
Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.), l’organizzazione delle forze giovanili del Regime Fascista istituita in seno al Partito Nazionale Fascista (P.N.F.). Educato ai valori quali amor di Patria e senso del dovere, Sergio è altresì affascinato dalla vita militare anche grazie alle storie di guerra vissute dai suoi zii militari, Dante e Italo, caduti durante la prima guerra mondiale. Ai suoi colleghi di lavoro nello stabilimento FALCK di Vobarno, situato a pochi chilometri da Salò, racconta di essere fortemente affascinato dalle adunate e dalle esercitazioni militari come “La Marcia della Giovinezza” organizzata dalla G.I.L. nella tarda estate del 1940, che porta quasi 24.000 giovani volontari a percorrere 25 chilometri al giorno ad una media di 5 chilometri all’ora lungo la penisola italiana per un totale di 420 chilometri percorsi a piedi con lo zaino, il moschetto e 15 kg. di equipaggiamento individuale vario. I venticinque Battaglioni della G.I.L. reclutati dal Regime Fascista erano composti dai ragazzi nati nel 1922, ovvero l’anno in cui era stata compiuta la marcia su Roma dai Quadrumviri fascisti capitanati da Benito Mussolini, e quindi per il sedicenne Sergio non c’è posto nei ranghi dei battaglioni in marcia.
Quando sta per approssimarsi il primo Natale in guerra per l’Italia, è già maturo il tempo
per Sergio di caricarsi sulle spalle il suo zaino e tentare la prima fuga da casa così da raggiungere Napoli per poi imbarcarsi dalla città di Partenope in direzione della Libia, dove potrà finalmente unirsi a qualche Reparto militare del Regio Esercito e quindi servire combattendo la sacra Patria. Tuttavia la fuga di Sergio dura soltanto 120 chilometri! Sono gli stessi genitori del ragazzo a dare il perentorio allarme ai locali Carabinieri, i quali attivano le ricerche che portano al ritrovamento di Sergio mentre si trovava ancora a Milano.
Lo zaino di Sergio è carico di amor patrio, senso del dovere e rispetto. Mettersi al servizio della Patria è l’unica cosa che in quel momento conta davvero per il giovane dall’esile fisico ma forte nel coraggio e nello spirito. La vittoria finale della sua amata Italia è priorità assoluta e pertanto arruolarsi per combattere nei ranghi del Regio Esercito rappresenta l’unica volontà del leoncino bresciano. Non passa quindi nemmeno un mese quando Sergio scappa dalla sua Salò ancora più determinato a raggiungere un porto e quindi l’Africa. I sogni di gloria di Sergio non vanno nemmeno questa volta troppo lontano infatti questa seconda fuga, seppur più lunga della precedente, termina a Genova quando viene intercettato e ricondotto dai Carabinieri nuovamente a casa dove viene redarguito dai genitori che si raccomandano con il giovane monello di desistere assolutamente dal compiere un’altra bravata del genere. La sonora ramanzina fatta a Sergio dai genitori, non lede minimamente la sua determinazione infatti progetta la sua terza e più articolata fuga che, partendo da Vobarno con la bici rubata al fratello maggiore, arriva Salò e s’imbarca sul traghetto che lo porterà alla stazione FS di Desenzano sul Garda dove prenderà il treno
per Milano. Nella città meneghina riesce a vendere la bicicletta di suo fratello, si reca in biglietteria per acquistare un regolare biglietto ferroviario ma giudicandone il prezzo troppo salato, sale sul treno per Napoli senza acquistarlo. Durante il viaggio in treno Sergio incontra centinaia di militari ai quali pone decine di domande, il suo sogno sta per realizzarsi e vuole con questo avere più informazioni su quella che tra qualche giorno potrebbe essere la magnifica avventura che da tanto aspetta di intraprendere. Giunto a Napoli viene ancora una volta intercettato da Carabinieri i quali gli consegnano un foglio di via con il quale obbligano l’avanguardista a lasciare la città e tornare dai genitori. Sergio prende un treno effettivamente diretto al nord però lui scende a Roma intenzionato a fare marcia indietro e dirigersi ancora una volta a Napoli per imbarcarsi. Intercettato per la quarta volta dai Carabinieri i quali emettono un secondo foglio di via riesce a eludere i militi e trova il modo di rimettersi in un treno in partenza per Napoli dove, una volta ivi giunto, riesce finalmente ad imbarcarsi su un piroscafo per raggiungere l’agognata Tripoli.
Finalmente a in Libia il fuggiasco aspirante soldato scrive una lettera alla famiglia raccontando i particolari e le peripezie della sua rocambolesca fuga. Nella lettera chiede anche scusa al fratello per avergli sottratto e venduto la bici, mentre a mamma e papà racconta che è stato preso in consegna dalle locali le autorità militari che lo trattano benissimo ma che per arruolarlo, dato che non ha raggiunto ancora la minima età, hanno bisogno del loro benestare. Pertanto, spiega nella lettera, che presto riceveranno una richiesta di nulla osta che prega di voler firmare e quindi autorizzare il piccolo avanguardista ad indossare la divisa del Regio Esercito. I genitori firmano il documento e acconsentono l’arruolamento, tuttavia Sergio non ha ancora compiuto 17 anni e quindi le autorità militari, derogando il regolamento, lo ammettono nei ranghi facendogli vestire  una divisa priva delle stellette a cinque punte, il simbolo di appartenenza alle Forze Armate. Il soldato Bresciani verrà inquadrato nei ranghi del 3° Reggimento Celere  “Principe Amedeo duca d’Aosta”, l’artiglieria a cavallo, le famose Voloire.

Dall’Africa l’avanguardista-artigliere scriveva quasi tutti i giorni a casa. Le sue lettere erano sempre cariche di gioia, entusiasmo e ingenuo ottimismo. Parlava di quanto fosse fiero di trovarsi protagonista di una guerra che a suo dire non aveva che un solo risultato finale ovvero la vittoria italiana. Per le sue due sorelline Yvonne e Liliana scriveva parole di amore e conforto. Ai suoi adorati genitori chiedeva di essere orgogliosi del loro figliolo in  armi perché si era gettato senza mai esitare nella mischia di una guerra dura che, stando alle sue previsioni, si culminerà con una chiara vittoria a breve termine. Quando il 2 luglio  941 Sergio compie finalmente 17 anni, diventa il più giovane soldato d’Italia. I veterani gli  affibbiano il soprannome di Balilla e lui scrive subito a casa una lettera carica di emozioni e orgoglio raccontando che il suo Capitano gli aveva consegnato le tanto agognate stellette accompagnato dal cappellano militare. Sergio è disinvolto tra quei soldati adulti, nella sua Unità è apprezzato e stimato soprattutto dai commilitoni che sono già padri e che considerano Sergio come un loro figlio. Durante quella estate del 1941, il 3° Celere, al comando del Colonnello Ruggeri Laderchi, è inquadrato nella Divisione di fanteria Pavia, X  Corpo d’Armata, e partecipa alle operazioni belliche in Cirenaica combattendo al fianco del  soldati tedeschi del Deutsche Afrikakorps (D.A.K.) a sud della piazzaforte di Tobruk, al Passo Halfaya, Sollum, Bardia e alla Ridotta Capuzzo. Le truppe britanniche hanno subito uno smacco enorme perdendo clamorosamente l’Operazione “Battleaxe” da loro stessi lanciata poche settimane prima. La gloria che Sergio cercava non si fa certo attendere, quando la trova, poche settimane dopo il suo diciassettesimo compleanno, è addirittura doppia perché viene citato dal suo Comando per una Medaglia d’argento al Valor Militare e nel contempo anche dai tedeschi per una Croce di Ferro di 2ª classe.
A fine estate ’41, la sua batteria viene schierata davanti al quadrivio strategico di piste che  i trova nei pressi della località libica chiamata El Adem dove viene assalita da 20 carri  inglesi che tentano di annientarla. Dopo due giorni di sanguinosi combattimenti, a colpi di  salve sparate ad alzo prossimo allo zero, rimane solo il pezzo dell’artigliere Bresciani a  vomitare il suo preciso fuoco sui carri inglesi Mk II “Matilda” da 27 tonnellate. Il Balilla ne  entra uno, che subito s’incendia, davanti al suo pezzo. Alcuni mesi dopo la brillante azione  i El Aden il Balilla si rende protagonista di un altro atto eroico che gli procura una proposta per una nuova medaglia al valore questa volta di bronzo infatti mentre si trovava ad Agedabia in cerca di acqua e rifornimenti, la cittadina viene pesantemente bombardata da alcuni aerei inglesi che si lasciano alle spalle un elevato numero di morti e feriti. Le urla  egli sfortunati straziano il Balilla che, recuperata una macchina, passa per la città caricandosi i corpi straziati dei feriti e quelli dei commilitoni uccisi. Nel 1942 tra i  primissimi   raggiungere El Alamein, ovvero il punto massimo dell’avanzata italo – tedesca, Sergio  Bresciani è ormai un uomo formatosi sul duro campo di battaglia africano. Il morale non è  affatto minato dagli stenti patiti per colpa delle difficoltà logistiche, della scarsezza di  acqua viveri e soprattutto di riposo. L’artigliere Balilla è un eroico veterano, il primo ad incitare i  commilitoni in difficoltà, che rifiuta di andare in licenza perché la considera una diserzione.  Fra i tedeschi è popolarissimo per via della doppia Croce di Ferro che si è meritato (Croce di  ferro di 1ª e 2ª classe). E’ sulla linea di El Alamein che la morte decide di portarsi l’immensa  a breve vita dell’artigliere Sergio Bresciani. La sera del 3 settembre l’automezzo sul quale  Sergio viaggiava insieme ad altri commilitoni, passa al di sopra di un piccolo dosso dov’era nascosta una mina anti-carro inglese. La detonazione è fragorosa, i feriti sono tre. Due artiglieri hanno riportato ferite leggere guaribili in pochi giorni mentre il terzo, il piccolo  balilla, ha avuto una gamba sfracellata e versa in condizioni gravissime. Viene soccorso  immediatamente dal suo compagno di batteria Carlucci, e da alcuni camerati tedeschi che  o conducono in un vicino ospedale. Sergio non si dispera, capisce che sta per morire,  asserena i suoi commilitoni e al Carlucci chiede di proferire le sue scuse al loro Tenente per  e mancanze commesse. Trasferito presso la 53ª Sezione di Sanità della Divisione  Folgore, viene trattato da medici e infermieri con il massimo riguardo. Tutti sperano nel  miracolo di tenere in vita questo giovinetto che ha dimostrato di avere un cuore ed un  coraggio immensi. Il miracolo non avviene, nonostante la sua breve vita sia stata fino a quel  omento paragonabile ad un avvincente romanzo d’azione a lieto fine, la vita di Sergio Bresciani si spegne in una tenda la sera del 4 settembre 1942, lasciando tra le decine di soldati accorsi, paracadutisti della Folgore, carristi della Littorio, fanti della Pavia e tedeschi del D.A.K., la desolazione che si prova quando si viene pervasi dalla tristezza e dalla frustrazione per la perdita di un proprio congiunto. Il maggiore medico che dirigeva l’ospedale da campo dice al Tenente Zirano (superiore del Bresciani): «Bresciani è morto come sanno morire gli uomini; e dal suo comportamento non ci saremmo potuti mai accorgere che era solo un ragazzo». (1)

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La nicchia dove riposa Sergio Bresciani situata nel sacrario di El Alamein. Foto di A. Betrò, 2010.

Il corpo senza vita di Sergio viene avvolto nel tricolore sabaudo e quindi sepolto, insieme ai resti della mina che gli ha strappato la vita,  l km 41,5 della Pista Rossa. La sepoltura viene marcata con una croce di legno al di sopra della quale viene appoggiato un elmetto. Qualche anno più tardi il Maggiore del genio alpino Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo, un altro grandissimo protagonista dei fatti d’arme africani, riceve il compito raccogliere le spoglie di tutti i militari italiani caduti sul suolo africano durante le battaglie di El Alamein. Sergio è tra questi, la sua salma viene  rima trasferita nel Campo Santo che Caccia Dominioni costituisce nei pressi di El Alamein,   pochi metri dal mare, a ridosso di una piccola altura conosciuta come “Quota 33”,  successivamente viene traslata all’interno del magnifico sacrario costruito sempre da Caccia Dominioni tra il 1954 ed il 1958 dove nel suo interno, l’eroico Sergio Bresciani, riposa accanto alle anime e i resti di altri 5200 soldati italiani. La fine della guerra prevista da Sergio per l’anno 1942 non arriverà. Quell’anno invece vedrà la fine dell’avvincente  cavalcata delle truppe italotedesche verso l’agognata meta; il Delta del Nilo. Il sogno di  avanzare più avanti si arresterà infatti sulla via litoranea egiziana a 111 chilometri da Alessandria, dove ancora Dominioni incise su di un cippo anni dopo a perenne memoria: “mancò la fortuna, non il valore”.
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1 citaz. Bruno Gatta, dal libro “Il ragazzo di El
Alamein”, Franco Di Mauro Editore 1992

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